SALSICCE ABRUZZESI TANTE VARIETÀ

SALSICCE ABRUZZESI TANTE VARIETÀ

Parlando dei PRODOTTI AGROALIMENTARI TIPICI dell’Abruzzo, abbiamo potuto notare quanti tipi di salsicce si producano nella mia regione!

Dopo aver parlato della nnuja e delle salsicce di fegato, oltre che della cicolana, oggi voglio raccontarvi meglio altre specialità d’Abruzzo!

SALSICCE ABRUZZESI TANTE VARIETÀ. Un po’ di storia

La norcineria è storia antica in Abruzzo. Del resto, nella cultura e nell’economia contadina il maiale rappresenta da sempre il simbolo dell’abbondanza.

Ormai purtroppo sono poche le famiglie che continuano ad allevarlo come un tempo, nutrendolo soprattutto con scarti aziendali e familiari, crusca e tritello, fino al raggiungimento del “peso forma” ideale, tra 180 e 200 kg.

Attraverso le sue carni saporite, trasformate in gustosi salumi, il maiale garantiva un’importante riserva di carne tutto l’anno: salami, salsicce, prosciutto, pancetta…

In passato,  in tutto il territorio regionale, era diffuso il maiale nero. Era scuro, piccolo e rustico, dalle carni saporitissime.

Rimpiazzato per lungo tempo dalle più produttive razze internazionali, oggi assistiamo alla sua riscoperta. Diverse piccole aziende lo allevano con passione e, dal 2018, è nato il CONSORZIO DI TUTELA del maiale nero d’Abruzzo.

Il consorzio raccoglie sette aziende e venti allevatori (vedi QUI), che alimentano gli animali esclusivamente con cereali, ghiande, e tutto ciò che la natura mette a disposizione.

SALSICCE ABRUZZESI TANTE VARIETÀ. Le salsicce sottolio

In tutto il territorio d’Abruzzo, si producono ancora delle deliziose salsicce sottolio. Come noto, la salsiccia è un salume antico, forse quello prodotto da più tempo, fin dall’epoca romana.

Prodotto tradizionale di tutto il Centro Italia, la salsiccia costituisce ancora oggi un insaccato particolarmente diffuso e tipico della tradizione artigianale e contadina.

Il caratteristico sapore e odore varia a seconda degli aromi e della loro quantità utilizzata nella lavorazione, in particolare sale e pepe. In alcuni casi, si aggiunge anche peperoncino macinato.

Le salsicce possono essere fresche oppure stagionate e di solito si producono con l’80% di carni fresche di suino ed un 20% di grasso.

I tagli di carne impiegati sono spalla, collo, pancetta e coscia, se non viene trasformata in prosciutto.

Le salsicce stagionate, dopo essere state fatte asciugare per circa due settimane in ambienti adeguati, vengono messe in contenitori colmi di olio d’oliva. In tali condizioni, le salsicce si conservano molto a lungo, si preservano da un eccessivo indurimento e assumono anche un leggero e caratteristico aroma.

In molte zone, invece che sottolio, è tradizione conservare l’insaccato sotto strutto di maiale per intensificarne il sapore.

Salsicciotto di Pennapiedimonte

Tipico del paesino della Majella in provincia di Chieti, si ottiene con carni magre di maiale. Si usano per il 70% tagli di spalla e di coscia e, per il resto, tagli più grassi o semigrassi come il magro di pancetta.

La spalla va ripulita dai grassi molli e da fibre tendinee. Il tutto è macinato e impastato con sale e pepe nero in polvere, fino a ottenere un composto omogeneo.

Si insacca in budelli naturali e si fa asciugare alternando caldo e freddo.

Prima di stagionare, riscaldato da un camino alimentato con legna di faggio, il salsicciotto è ricoperto con una pastella di grasso di maiale, sale, pepe nero macinato ed erbe aromatiche del territorio, come timo, ginepro, rosmarino, alloro, erba cipollina, peperoncino piccante, finocchio e salvia.

Salsicciotto frentano, salsicciotto, saiggicciott, sauccicciott

un altro salume “a rischio estinzione”, tipico dell’alta e media valle del Sangro e dell’Aventino, un’area collinare alle pendici orientali della Majella, lungo il corso del fiume Sangro. Annoverato tra i presidi Slow Food, il salsicciotto è già citato nel 1592 negli “Antichi Capitoli della città di Lanciano”. Era quindi pratica comune al tempo, tanto da rendere necessaria la definizione di una quotazione di mercato.

Un’ulteriore testimonianza si ritrova anche nel libro dell’introito generale del Convento di Santa Chiara in Lanciano, risalente al XVIII secolo, dove lo si segnala quale compenso per l’avvocato che curava le vertenze delle religiose.

I salsicciotti frentani sono insaccati di carne di maiale realizzati sostanzialmente con tagli magri pregiati: prosciutto, spalla, lombo e capocollo. La parte grassa non supera mai il 20%  del totale.

Le carni sono macinate a grana media e conciate con sale e pepe, in grani interi o spaccati.

L’impasto è insaccato in budello naturale e legato manualmente alle estremità con uno spago. Si ottiene un salame di circa 25 centimetri, che viene lasciato riposare alcuni giorni. Dopo il quinto, sesto giorno si sottopone a pressatura sotto grandi tavole in legno in modo che assuma la forma di un piccolo parallelepipedo irregolare.

Proprio la forma è la sua caratteristica peculiare.

Dopo la pressatura, il salame stagionerà da uno a tre mesi (a una temperatura di 12-14°C) per essere infine conservato sott’olio o sotto strutto in barattoli di vetro a chiusura ermetica.

Per secoli questo salsicciotto è stato antipasto di banchetti nuziali, cerimonie e occasioni speciali: secondo la leggenda, non dovrebbe mai essere venduto, ma solo scambiato in dono!

Soppressata, salame pressato, schiacciata, salame Aquila

Caratterizzato da un gusto deciso e genuino, è tipico del capoluogo abruzzese. La carne viene tritata e amalgamata con pepe, sale e vino bianco, quindi viene insaccata in budelli naturali o artificiali, legati infine con spago alle due estremità. Spesso, nelle preparazioni artigianali, nell’impasto del salame vengono utilizzati anche i prosciutti.

Una volta insaccati, i salami vengono pressati con delle tavole di legno, per farne fuoriuscire l’aria rimasta all’interno, che potrebbe rovinare la carne.

La forma finale ne risulta appiattita e irregolare, per questo si caratterizza soprattutto per la forma schiacciata.

U’ Sprusciat di Pizzoferrato

Il nome significa “lo schiacciato” ed è un salume tipico della zona di Pizzoferrato. In pratica è una soppressata sotto strutto, che anticamente veniva offerta ad ospiti speciali solo nelle occasioni importanti.

Per realizzarlo si usano le carni più pregiate : prosciutto, parte della spalla, lombo e parte della pancetta, puliti da nervi e tendini.

Le carni vengono poi impastate con sale e pepe nero e insaccate con un budello naturale di maiale lungo almeno 20 centimetri. Dopo aver riposato per 5 giorni, viene appeso a stagionare per 60 – 100 giorni. Infine, viene fatto riposare sotto strutto per 8 mesi

Ventricina teramana

La ventricina è un prodotto unico e tipico del territorio abruzzese, un salame povero a base di carne di suino, preparato con spezie, frattaglie grasse ed insaccate in budello o vescica.

Presenta diverse varianti sia in termini di ingredienti che di forme. La principale differenza è tra la ventricina teramana e quella vastese. Due versione molto differenti tra di loro come tipo di ingredienti e come modalità di utilizzo.  In pratica, la ventricina del teramano si spalma mentre la versione vastese si affetta ed utilizza come un salame classico.

La ventricina teramana è prodotta nella zona del teramano (Te) compresa tra le fasce montana, pedemontana e collinare del comprensorio dei Monti della Laga e del Gran Sasso. Si produce durante i mesi più freddi, principalmente in autunno, per via delle basse temperature ed è in commercio durante tutto l’anno.

Per la preparazione si utilizzano la carne e il grasso del maiale: ritagli di prosciutto e di testa (30%), pancetta e sugna (40%), dissanguati, scotennati, disossati e attentamente mondati dei tendini, infine macinati, e poi conditi con sale, pepe bianco e nero, peperoncino dolce e piccante, aglio, semi di finocchio, rosmarino e buccia di arancia.

L’impasto viene poi insaccato nel ventre di suino, più precisamente nella vescica o nello stomaco.

Così confezionato, è legato e appeso ad asciugare in una stanza riscaldata dal calore di un camino per circa una settimana e successivamente trasferito in un ambiente fresco, ideale per la stagionatura.

Diverse sono le varianti per la forma finale. Una versione è il culatello, in cui l’impasto, insaccato nella vescica di maiale o in budello naturale o sintetico, è conservato appeso; in alternativa l’impasto può essere riposto in un barattolo di vetro, in sostituzione dell’involucro animale.

Oggi è tipico consumare la ventricina teramana in versione spalmabile, su una fetta di pane casereccio o utilizzata per la preparazione di sughi, a pochi giorni dalla sua produzione, ma la stagionatura ideale si raggiunge dopo i tre mesi.

Ventricina vastese, del vastese, vescica, ventricina di guilmi, muletta

Come la precedente, anche la ventricina vastese è presidio Slow Food.

A grana grossa, questo salume ha forma a palla e peso che va da 1 a 3 kg.

La principale differenza della ventricina vastese con quella teramana è nella minore percentuale di grasso di maiale utilizzata, che non supera mai il 30%.

Si ottiene dalle parti più nobili del maiale (cosce, lombo e spalle). Mondate, disossate e private delle parti più dure e fibrose (quelle aderenti alle ossa), le carni vengono poi sezionate in piccoli pezzi di due o tre centimetri, che riposeranno per una notte.

Si condiscono con sale e polvere di peperone dolce di Altino in uguale misura. In alcuni casi le carni sono condite anche con finocchietto selvatico e una spruzzata di pepe. Si insacca l’impasto nella vescica di suino, badando di pressarla bene per far fuoriuscire l’aria, e si ottiene una palla di uno o due chili che sarà posta nella rete, legata a mano con lo spago e poi appesa ad asciugare in una stanza con un camino acceso da almeno sette, otto giorni.

Dopo l’asciugatura la ventricina stagiona in un ambiente ventilato e fresco. A tre mesi si pulisce la superficie esterna dalle muffe e si ricopre con lo strutto, che protegge il salume da infiltrazioni di insetti e dagli sbalzi di temperatura.

La ventricina si consuma dopo sette, otto mesi. Nel territorio di origine, tagliata a tocchettoni, è anche ingrediente del ragù, ma abitualmente si mangia cruda affettata grossolanamente con il coltello.

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Pubblicato da lacuocaignorante

Lacuocaignorante è una grande curiosona ed ama cucinare, leggere, viaggiare. In una vita precedente (ovvero prima del matrimonio) ero un ingegnere meccanico. Oggi mi occupo del mio Maritozzo e dei nostri tre gatti, insegno materie scientifiche, realizzo siti internet e continuo ad istruirmi!