A PARTE QUESTO TUTTO BENE
Rosangela Percoco
Editore : Adriano Salani
Prima pubblicazione : febbraio 2023
Pagine : 224 p.
Genere : romanzo contemporaneo
A PARTE QUESTO TUTTO BENE : il libro
«Adesso che nemmeno le mie malattie stanno più in equilibrio, chiudere gli occhi diventa un’impresa, un atto di coraggio. E svegliarmi domani non è più qualcosa di scontato, è solo una delle due possibilità che ho. Ecco perciò la mia decisione: spremere felicità da ogni cosa».
A volte basta poco – un’immagine, una parola detta da qualcuno, un episodio minimo – per innescare un profondo bilancio della propria vita.
Per Lucia, quel poco è una domanda del suo medico. ‘Come sta?’ le chiede mentre le prescrive una nuova combinazione di farmaci. Settantaquattro anni, un certo numero di patologie da tenere costantemente a bada e che le impediscono di uscire da casa, Lucia ha una tempra forte eppure viene travolta da quella innocua domanda.
Come sta, a parte la condizione fisica? Cosa potrebbe dire davvero di sé? Le sue giornate, ormai svuotate di incombenze, sono così riempite da un vortice di ricordi: quelli felici, il tessuto della sua identità, ma anche quelli dolorosi, che sono il prezzo dell’esistenza.
Ma il suo viaggio nella memoria subisce le incursioni di un presente in grado ancora di sorprendere e suggerire che cercare la felicità non è mai un’eresia anche se il tempo si accorcia e i progetti futuri si riducono. E trovarla, giorno dopo giorno, non è affatto un’impresa impossibile.
Con tocco delicato e uno sguardo che mescola disincanto e dolcezza, Rosangela Percoco ha deciso di trattare un tema troppo spesso evitato dalla letteratura: la solitudine di chi invecchia e vede, intorno a sé, le cose cambiare. E ne approfitta per riflettere sul peso e sulla qualità delle relazioni che, fino alla fine, possiamo sempre costruire.
A PARTE QUESTO TUTTO BENE : l’autrice
A PARTE QUESTO TUTTO BENE : breve riassunto e commento personale
Rosangela Percoco è riuscita nell’impresa non da poco di scrivere un romanzo non solo sulla solitudine di chi invecchia ma su quella di chi è costretto da lunghe malattie “degenerative” a vivere confinato nella propria casa, con la vita che scorre tranquillamente al tuo fianco.
Il romanzo mi tocca profondamente sin dalle prime righe perché sembrano i discorsi che faccio io quando mi chiedono come sto: sono qui, rispondo sempre, nonostante il dolore per qualsiasi movimento, che mi impedisce persino di lavorare davanti al PC seduta e che mi attanaglia ventiquattro ore su ventiquattro.
Come sto. Intende, a parte il dolore cronico e il dispositivo che mi hanno messo nella pancia per provare a tenerlo sotto controllo? …. Se intende a parte questo, sto bene, dottore. Voglio dire, sono viva….
E già a questo punto le lacrime scorrono copiosamente … man mano che la lettura procede, mi immedesimo sempre di più in questa stoica donna che, pure, continua ad affrontare la vita con sarcasmo e ironia, condividendo con noi la sua vita lunga e piena:
Non riesco a camminare se non sostenuta da braccia amiche o dagli spigoli dei mobili; guardo dalla finestra come se guardassi un film al cinema, dove verità e finzione si scambiano continuamente; sono incontinente di liquidi e pensieri: li faccio tutti e due senza controllo. E questo farebbe di me una bambina, sì, se soltanto non avessi settantaquattro anni e più patologie che anni da vivere.
Alla figlia Anna, che le telefona tutti i giorni e le chiede “TUTTO BENE?” per poi ricordarle quanto è fortunata a non dover uscire di casa, nella sua testa la nostra eroina risponde che si sente “rassegnata” non fortunata.
Mi sembrano i discorsi che mi fanno quando in rare occasioni le persone mi incontrano in giro…”beata te che puoi mandare il Maritozzo”…
Eh si, proprio beata me che a nemmeno 50 anni sono costretta a passare gran parte del tempo in piedi, perché se mi siedo o mi allungo non solo i dolori peggiorano ma rischio anche di non riuscire a rialzarmi. Che, se faccio le scale per due volte di seguito, sto una settimana in preda a dolori lancinanti che nessun farmaco riesce a eliminare. Anche perché di farmaci io non posso prenderne… e quello che più ti fa male è pensare alle sofferenze che provano i tuoi cari a vederti così, un mucchietto d’ossa che il dolore consuma giorno dopo giorno senza nessuna speranza di miglioramento e anzi con la certezza che nel mio futuro c’è una sedia a rotelle…
io so che non essere autosufficiente e guardarsi non esserlo non è facile.
Dice la protagonista. E poi si lancia nel racconto della sua vita, segnata sin dall’inizio da una civetta… un romanzo toccante e divertente al tempo stesso, ben scritto e veloce da leggere, che ci permette di riflettere davvero su tanti argomenti diversi, dalla differenza tra “fame” e “appetito” alle famiglie esplose “allargate” si dice in realtà, ai legami che ci avvolgono per tutta la vita, spesso sorprendendoci con la loro forza.
Commoventi i racconti legati ai suoi nipoti. Particolarmente toccante quello dedicato a Riccardo, sedici anni, “ruvido fuori e tenero dentro” che comunica alla nonna la sua gioia di averla ancora con sé in modo alquanto contorto, capace di strapparci più di un sorriso.
Come pure la lezione sull’amore che la nonna regala a Sofia con il cuore a pezzettini… tra i capitoli più belli “si nasce incendiari si muore pompieri”, che ve la dice lunga sul tipo di lettura che vi si prospetta! Nel capitolo, Lucia parla con Aurora, “che vuole fare la rivoluzione! E le chiede perché voglia partecipare all’autogestione del suo istituto:
«Sto dicendo che spesso – ho detto spesso, non sempre, non fare quella faccia lì – ci si allinea agli altri per abitudine, per timore di essere esclusi, per non sentirsi diversi o per paura di essere giudicati. Per conformismo, sì. È stato fatto uno studio, sai…»
Davvero un libro intenso, che vi consiglio di leggere per perdervi nel mondo di Giulia e riconoscervi in tanti modi in questa donna forte e coraggiosa. E la fine del romanzo vi coglierà con i goccioloni agli occhi!