PRIMO MAGGIO: PECORINO E FAVE

PRIMO MAGGIO: PECORINO E FAVE

Come ogni Primo Maggio,  tante manifestazioni in tutta Italia per ricordare le troppe vittime del lavoro dello scorso anno.

Io ho cominciato a lavorare in un periodo fortunato. Una grossa multinazionale cercava laureandi in ingegneria direttamente nei dipartimenti dell’Università ed io ho avuto l’onore di essere scelta.

Era il 1998 e il mio primo giorno di lavoro, dopo tre lunghi mesi di formazione, è stato proprio il PRIMO MAGGIO!

Il nostro responsabile, un romano DOCQ, per incoraggiarci portò a me e al mio gruppo pecorino e fave, che noi consumammo durante la pausa pranzo nel grande prato che circondava l’impianto in cui lavoravo.

Ed è stato allora che ho scoperto questa grande tradizione tutta romana.PRIMO MAGGIO: PECORINO E FAVE. Un matrimonio antico

Fave e pecorino rappresenta la classica tradizione romana,  esportata ormai anche fuori dal Lazio. Le fave (di cui parleremo ancora prossimamente, anche se alcune informazioni potete trovarle QUI) si consumano principalmente durante il mese di maggio, periodo della loro raccolta.

Protagonisti della Festa dei Lavoratori del 1° maggio sono le fave e il pecorino. Sono anzi diventate il simbolo delle scampagnate fuori porta con amici e parenti.

La tradizione della giornata di svago all’aria aperta risale agli antichi Romani, che celebravano l’arrivo della primavera con un pranzo ricco di leccornie ma poco impegnativo, insieme ai propri cari,  per augurare felicità e prosperità.

FAVE E PECORINO. LA STORIA

Ma perché i nostri avi hanno scelto proprio questi due prodotti come simbolo della festa di primavera?

La presenza di fave nell’area del Mediterraneo è attestata già in età Neolitica.  Ad esse si unirono superstizioni che le attribuivano un significato negativo (dal sito visitlazio.it)

LE FAVE – SIMBOLO DI MORTE

I Greci ne ritenevano forma e colore collegabili alla morte. Infatti il fiore bianco con macchie nere a forma di Tau rappresentava il principio della parola Tanatos, morte. Inoltre credevano che le anime dei defunti risalissero dall’oltretomba attraverso i gambi cavi.

Le fave rientravano anche in un mito legato a Cerere. Secondo la leggenda, la dea dell’agricoltura donò ad una città dell’Arcadia i semi di tutti i legumi, tranne quelli della fava. Addirittura,  in un’epigrafe del VI sec. a.C. rinvenuta a Rodi, se ne sconsigliava il consumo.

Sappiamo che, secondo Pitagora, il baccello rappresenta l’accesso al mondo dei morti e i semi della fava racchiudono le anime dei defunti. Da qui l’usanza ancora viva di mangiare le “fave dei morti” il 2 novembre, dolci preparati per onorarli.

La scarsa digeribilità della fava, un tempo ingerita senza privarla del baccello, spiega l’accezione negativa attribuitale da Plinio in epoca romana, che narra di incubi nei quali le divinità comunicavano i cattivi presagi. Per questo il sacerdote di Giove non poteva mangiarla né toccarla e il Pontefice Massimo non poteva nemmeno nominare le fave.

LE FAVE: SIMBOLO DI VITA

Si iniziò a dare un significato positivo alla fava quando le si attribuì un valore erotico ed afrodisiaco. Si “scoprì” una certa somiglianza tra i baccelli aperti e i genitali femminili, oltre che tra i semi e i genitali maschili.

In questa nuova veste positiva, le fave si utilizzarono per celebrare la dea Flora, protettrice della natura in fiore e della rinascita. Nella tradizionale festa comparve il lancio dei baccelli delle fave per augurare fortuna e ricchezza. Da questa usanza nacque un’altra credenza popolare. Si cominciò a considerare di buon auspicio trovare 7 semi invece di 6 nello stesso baccello.

Per il loro alto contenuto in fibre, proteine e sali, le fave sono diventate un alimento irrinunciabile per le classi medio – basse. I “poveri” le hanno inserite nelle ricette della tradizione culinaria romana, associandole ad un’altra prelibatezza regionale, il pecorino romano.

FAVE E PECORINO: L’INCONTRO

Le origini del pecorino si fanno risalire alla Roma Antica. La sua lunga conservazione e l’elevato apporto nutritivo, unito a grande digeribilità, ne hanno fatto un elemento importante nella dieta dei legionari.

E’ stato uno dei primi prodotti del Lazio ad ottenere il marchio DOP.

Insieme alle fave, assicura la giusta energia per godere delle giornate di festa.

PRIMO MAGGIO: PECORINO E FAVE. LA TRADIZIONE DEL CALENDIMAGGIO

Nel calendario dell’Antica Roma, le calende erano il primo giorno di ciascun mese. Il primo giorno di Maggio fu già all’epoca un giorno di festa.

Le calende di maggio erano infatti destinate a festeggiare la rinascita della natura. Tutti, patrizi e plebei, nelle campagne come in città, partecipavano al piacere di vivere la bella stagione, danzando e cantando all’aria aperta.

In molte località è testimoniato l’uso di “piantare il maio”, ossia appendere un ramo verde nella piazza del villaggio; attorno al maio si intrecciavano danze o si recitavano i ‘maggi’, brevi rappresentazioni teatrali. La cima veniva ornata di vettovaglie, che i più arditi giovani si contendevano nel corso di spericolate arrampicate.

Dopo la Rivoluzione Francese, l’albero di maio divenne anche  il simbolo della richiesta di una vita migliore da parte dei lavoratori.

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Il calendimaggio è una tradizione viva ancor oggi in molte regioni d’Italia, come allegoria del ritorno alla vita e della rinascita: fra queste il Piemonte, la Liguria, la Lombardia, l’Emilia-Romagna (ad esempio si celebra nella zona delle Quattro Province, ovvero Piacenza, Pavia, Alessandria e Genova), la Toscana, l’Umbria, le Marche e il Molise.

Particolarmente noto è il Calendimaggio di Assisi, tre giorni di festa che si celebrano tutti gli anni nei primi mercoledì, giovedì, venerdì e sabato di maggio che non comprendano il primo maggio.

Quest’anno la festa si svolgerà dall’8 all’11 maggio. Per saperne di più. cliccate QUI

PRIMO MAGGIO: PECORINO E FAVE. “LE VIRTÙ”

In Abruzzo, per Calendimaggio, si preparava un piatto molto particolare, una minestra che si ricollega a riti propiziatori e pagani.

Le «virtù» a cui si riferisce il nome sono quelle richieste tradizionalmente alla donna di casa. Secondo la ricetta canonica dovrebbero essere presenti sette diversi ingredienti: sette legumi secchi rimasti dalla provvista invernale, sette verdure nuove offerte dalla stagione primaverile, sette legumi freschi, sette condimenti, sette qualità di carni e sette di pasta con l’aggiunta di sette chicchi di riso. Il tutto dovrebbe cuocere sette ore perché il minestrone finalmente acquisti le sue virtù di bontà.

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Pubblicato da lacuocaignorante

Lacuocaignorante è una grande curiosona ed ama cucinare, leggere, viaggiare. In una vita precedente (ovvero prima del matrimonio) ero un ingegnere meccanico. Oggi mi occupo del mio Maritozzo e dei nostri tre gatti, insegno materie scientifiche, realizzo siti internet e continuo ad istruirmi!