LA TEOLOGIA DEL CINGHIALE di Gesuino Némus

La teologia del cinghiale di Gesuino Némus è il primo romanzo di questo autore. Un giallo anomalo ambientato in un paesino immaginario della Sardegna. Scopriamolo insieme

La teologia del cinghiale

Gesuino Némus

Editore: Elliot

Anno edizione: 2015

Pagine: 238 p

 

La teologia del cinghiale. Descrizione

Vincitore Premio Campiello Opera Prima – Vincitore Premio Selezione Bancarella 2016 – Vincitore Premio John Fante Opera prima – Vincitore Premio POP Master in editoria – Vincitore Premio Osilo 2016.

Luglio 1969. Durante i giorni dello sbarco sulla luna, a Telévras, piccolo paese dell’entroterra sardo, due ragazzini vengono coinvolti in una serie di eventi misteriosi.

Il primo è Matteo Trudìnu, talentuoso figlio di un sequestratore latitante; l’altro è Gesuino Némus, un bambino silenzioso e problematico, da tutti considerato poco più che un minus habens. Amici per la pelle, i due godono della protezione di don Cossu, il prete gesuita del paese, che si prende cura di loro come fossero figli suoi.

Un giorno il padre di Matteo, scomparso da settimane, viene trovato morto a pochi chilometri di distanza da casa. Il maresciallo dei carabinieri De Stefani, un piemontese che fatica a comprendere le logiche del luogo, inizia a indagare con l’aiuto dell’appuntato Piras e dello stesso don Cossu ma, con l’avanzare dei giorni, le cose si complicano e spunta fuori un altro cadavere…

Misteri, colpe antiche, segreti e rivelazioni vengono scanditi a ritmo battente in un romanzo dalle tinte gialle sapientemente orchestrato, imprevedibile e originalissimo per trama, stile, umorismo e inventiva.

Un’opera pirotecnica, geniale e ricca di suspense che ci avvolge con le voci, i sapori e la magia della terra sarda, raccontando gli ultimi cinquant’anni di un’Italia sospesa fra modernità e tradizione.

La teologia del cinghiale. L’autore

(da Sansalvo.net e varie interviste rilasciate da Nemus dopo la vittoria del Premio Campiello)

Matteo Locci è nato in Sardegna in un piccolo paese dell’Ogliastra, Jerzu, venuto alla ribalta grazie al premio Bancarella 2016 con il suo primo romanzo “La teologia del cinghiale”. Con questo romanzo ha anche vinto il Master di editoria e il Premio John Fante.

In questo suo primo romanzo ha usato l’ “eteronimo” Gesuino Némus. Nemus in sardo significa “nessuno”. Ha cominciato a leggere a sei anni e non ha mai smesso. Il suo primo romanzo, “La teologia del cinghiale”,  l’ha scritto a 57 anni, in una fase della propria vita in cui si sentiva davvero “nessuno”. Come racconta spesso, la prima pagina l’ha però scritta il 14 maggio del 1970, in un istituto religioso.

Ultimo di sei figli di una famiglia poverissima, a sedici anni si è trasferito, alla ricerca di un lavoro, a Milano. Ha lavorato duramente fin dall’infanzia e ha svolto finora 28 lavori.

IL RACCONTO DI NEMUS:

«La mia esistenza non ha niente di straordinario, così simile alla vita che ha fatto quella che viene definita, comunemente, “la gente”: cioè, almeno il 99% degli italiani.

Forse, la parte interessante, è che i miei lavori ammontino a 28, escluso quello dello scrittore, visto che è l’ultimo che ho intrapreso.

Ho conosciuto il lavoro nei campi; le fabbriche di Milano, quando ce n’erano ancora; le cooperative di facchinaggio e lo scarico merci nei supermercati; ma anche la correzione delle bozze nelle case editrici, le agenzie pubblicitarie, i palcoscenici teatrali e televisivi, per poi riprecipitare nell’inferno della disoccupazione, delle agenzie interinali e, ancora peggio, di quelle di stampa.

Preferivo scaricare cassette all’Ortomercato, piuttosto che fare, per cinque anni, il “negro” scrivendo 120 articoli a settimana per 1€ a cartella. Sì, avete letto bene: 480 euro al mese, perché alla mia età non ti vuole nessuno…

E allora mi sono dato lo pseudonimo che corrispondeva a ciò che ero stato veramente in tutta la mia vita: Némus, che in sardo vuol dire nessuno…Niente ero stato: nulla volevo essere. Proprio come il mio eroe Odisseo, nell’antro di Polifemo: «Chi sei, tu?» – «Nessuno».

Quando ho inviato il manoscritto, l’ho fatto con la mail che avevo creato all’uopo, con l’eteronimo che avevo scelto e, solo alla firma del mio primo contratto, ho svelato il mio vero nome…»

La teologia del cinghiale. Breve riassunto e commento personale

Scrive uno dei personaggi del romanzo, il prete gesuita Egidio Don Cossu:

«Il cinghiale è una preghiera. Coi cani è un rosario. Senza cani un Te Deum. Senza cani, di notte e di frodo, è l’Osanna»

Un libro che è impossibile definire, dissacrante sin dalla copertina, che mostra l’immagine di un Cristo benedicente con la testa di cinghiale, una bottiglia di cannonau sottobraccio e vestito con una tunica dai quadretti bianchi e rossi che richiama tavole imbandite e gozzoviglie.

22 LUGLIO 1969. Il giorno prima, i primi astronauti sono sbarcati sulla luna, ma la Sardegna continua a essere un mondo arcaico, regolato da leggi ancestrali.

In un immaginario paese dell’Ogliastra, Telévras, una singolare figura di prete gesuita protegge il piccolo Matteo e uno strano ragazzino sempre silenzioso, Gesuino, da tutti ritenuto un minus habens.

Il latitante padre di Matteo poi viene trovato morto e in paese iniziano le indagini. La vicenda si complica, altre morti si aggiungono alla prima, Matteo a sua volta scompare misteriosamente e la verità verrà a galla molti anni dopo, quando Gesuino, che ha sempre saputo, dopo una vita trascorsa nelle cliniche psichiatriche del “continente” tornerà in Sardegna e infrangerà il giuramento fatto all’amico, rivelando dove questo si era nascosto, perché “la verità è più forte dell’amicizia”.

E lo farà a modo suo, affiggendo sulla porta della chiesa quattro cartoncini con 95 “tesi”, 95 affermazioni lapidarie. A significare che la verità è sempre eretica e potenzialmente rivoluzionaria.

I personaggi sono indimenticabili.

Si comincia con il sacerdote eretico, come lo chiama il suo chierichetto, amante del cannonau e della caccia al cinghiale. Chiamato un giorno per un esorcismo e avendo dimenticato di riempire l’aspersorio con l’acqua santa, riuscì lo stesso nel suo intento, aspergendo il povero malcapitato, il piccolo Matteo Trudìnu, in preda a convulsioni,  con del fil’ e ferru trovato su una mensola …

C’è poi il maresciallo De Stefani, che, in quattro anni di servizio a Telévras, non è mai riuscito a prendere né un latitante né un cinghiale:

Era arrivato nell’aprile del ’65 e in quattro anni c’erano stati, nel circondario di sua competenza: 2 sequestri senza rilascio, più di 50 furti di bestiame, circa 30 risse con ferite da pattadèsa, 7 suicidi per impiccagione e, senza tener conto di quello di Bachisio Trudìnu che era ancora incerto, 3 omicidi senza cadavere. Totale: 62 reati gravi (suicidi compresi). Colpevoli trovati: 0 (suicidi a parte). Sospettati: 2.873.

Ai suoi ordini c’è  il carabiniere scelto Piras Jacheddu, il carabiniere più amato di Sardegna, che non disdegna di tanto in tanto di alzare il gomito insieme al parroco.  A De Stefani e  Piras spetta risolvere il caso dell’omicidio di Bachisio Trudìnu, di cui non si trova il corpo per quasi un mese dopo la scomparsa.

Ci sono poi i due bambini che gravitano attorno al prete, Gesuino Némus e Matteo Trudìnu, figlio del morto ammazzato,

“in ordine di apparizione: organista, capochierichetto, lettore delle epistole, intonatore dei cori, accensore dei ceri da 100 lire, addetto alla piccola campana per problemi di statura, prima voce dei misteri gaudiosi, seconda di quelli gloriosi, primo turibolo ai funerali, cantore ufficiale delle novene natalizie e, cosa che lo inorgogliva non poco, assaggiatore del moscato che i fedeli recavano in dono per le celebrazioni importanti”.

Un bambino di un’intelligenza viva e precoce. Dotato dell’orecchio assoluto e a conoscenza dei nomi di tutti i 333 diavoli presenti sulla terra: da Amicol, demone dell’insonnia a Vantus, portatore della malaria. Gesuino Némus è il braccio destro di Matteo e ne racconta le gesta.

Impossibile raccontare questo romanzo. Si ride tanto, ma si piange ancora di più… Un giallo che non è soltanto un giallo, che ci emoziona e ci trascina per le calette dell’Ogliastra, prima che fosse condannata al turismo di massa.

VOTO : 8 / 10

La teologia del cinghiale. LA RICETTA DEL LIBRO:

Si mangia e si beve tanto in questo libro. Ricette rustiche, di un tempo che non esiste quasi più. A rappresentare tutti i cibi citati, ho scelto i CULURGIONES, ravioli ripieni di patate e pecorino che ci hanno lasciato stupefatti.

Culurgiones 

Tradotto in italiano significa “raviolo” ed è una specialità della zona dell’Ogliastra, per quanto si possa trovare, con piccole variazioni, anche in altre zone dell’isola. In quest’area è un tipo di pasta ripiena con patate e menta e pecorino.

Solitamente si condiscono con sugo di salsiccia fresca o, più semplicemente, con un sugo di pomodoro fresco e basilico. I culurgiones vengono considerati un dono di ringraziamento: secondo la tradizione si regalano dopo il raccolto e la loro tipica chiusura, sa spighitta, è un elemento caratteristico che ha il valore simbolico di propiziare la nuova annata.

per la ricetta vi rimando al post che verrà pubblicato più tardi

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Pubblicato da lacuocaignorante

Lacuocaignorante è una grande curiosona ed ama cucinare, leggere, viaggiare. In una vita precedente (ovvero prima del matrimonio) ero un ingegnere meccanico. Oggi mi occupo del mio Maritozzo e dei nostri tre gatti, insegno materie scientifiche, realizzo siti internet e continuo ad istruirmi!